Hilary Ann Mostert, “L’inconveniente”, Mondadori, 2020

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Hilary Ann Mostert, “L’inconveniente”, Mondadori, 2020Un romanzo? Un’autobiografia? Forse né l’uno né l’altro. Piuttosto un luogo, un luogo chiamato “Africa” in cui non esistono pietre, alberi, persone, ma persone nate per ridiventare tutto ciò con la morte. Una morte, e una vita, nelle quali le parole di Hilary Ann Mostert ci aiutano ad insinuarci.

Ma la piccola autrice dovrà lasciare l’Africa per trasferirsi a Torino al seguito della madre, nostalgica della sua città d’origine. Il suo nuovo ambiente diventa l’enorme palazzo di famiglia, pieno di luoghi e sorprese, e il suo rifugio la cassapanca posta al termine di una misteriosa scala a chiocciola murata.

L’Africa e Torino: due realtà diversissime, sino all’incontro con un famoso mago della città piemontese (o stregone?), dove l’Autrice vive finalmente la sua iniziazione alla vita. Una vera iniziazione, preceduta da una discesa ad inferos rappresentata da una fuga di notte dove evitare feroci aggressioni, e da un duplice incontro con la morte: in Africa avverrà attraverso un serpente dal quale la salverà il padre, Uouo, sparandole. A Torino sarà un colpo di pistola alla fronte, esploso con un’arma fatalmente scarica.

Un crescendo, dunque, che culmina con gli stessi toni iperrealistici dell’Apocalisse: “In quei giorni gli uomini cercheranno la morte, ma non la troveranno; brameranno morire, ma la morte fuggirà da loro. (Apocalisse, 9,6) Al di fuori delle metafore il fatto accadde veramente ed è quello che chiude il romanzo: lo zio Giorgio cercherà la morte gettandosi dal sesto piano del palazzo, ma sarà condannato a vivere cadendo sul telo dei pompieri e riportando soltanto la slogatura di un piede. Un contrappasso? Forse, visto che lo zio in questione è Giorgio De Maria, lo “scrittore maledetto” di Le venti giornate di Torino.

L’episodio rappresenterà un culmine, un punto di non ritorno per l’ormai matura Hilary, che nelle ultime due righe del romanzo trasmetterà al lettore, con poche parole prive di qualunque retorica ed effetti speciale la sua assunzione di consapevolezza. Ma non posso essere comprese senza precederle dalla lettura dell’intero romanzo.

Un romanzo scritto senza filtri, senza preoccuparsi di dare ai fatti quella consequenzialità che necessariamente può essere solo “a posteriori”, quando cioè il nostro cervello cerca di dare una trama a ciò che ricordiamo. Insomma, un romanzo in cui l’Autrice narra senza cadere in quella “elaborazione secondaria”, per dirla alla Freud, che renderebbe il racconto poco sincero.

Qual è “l’inconveniente” cui il titolo rimanda? “Io incomincio a diventare l’inconveniente di mia madre non esattamente alla nascita” dichiarerà la scrittrice “ma quando lei, tornando a Torino, si accorge di non essere più lei la bambina. E si accorge che la bambina sono io e che le ho rubato il posto.”

Pietro Casetta