Giovanni Toffano

GASPARE PACCHIEROTTI (Fabriano 1740 – Padova 1821) – Il crepuscolo di un “musico” al tramonto della Serenissima

Armelin Musica, dicembre 1999, 129 p., £ 20.000

 

Pubblicata sulla rivista “Padova e il suo territorio”

 

La mancanza di una biografia di questo illustre padovano di adozione, rappresentativa di una poco decorosa lacuna del panorama bibliografico della nostra città, è stata finalmente colmata dall’iniziativa di una giovane e vivace casa editrice musicale e di un sensibile e appassionato musicista e critico musicale padovano. Il libro porta l’introduzione di Sandro Cappelletto, e i preziosi contributi di Roberta Bortolozzo (“Faria per me sicurtà, son certo, un Pacchiarotti”) e Gloria Listo (La vita e le opere di Giuseppe Cecchini Pacchierotti, Le vicende del complesso Pacchierotti in Padova, Le altre proprietà dei Pacchierotti). “Padova e il suo territorio” si è inoltre occupata dell’artista con il saggio di Margherita Levorato Il sopranista Gaspare Pacchierotti: un padovano d’elezione, nel n. 47.

La grandezza di Gaspare Pacchierotti non sta solo sulle sue doti di “musico”, cioè di cantante castrato, ma anche nella sua grande umanità e apertura culturale. Si trattò inoltre, come vedremo, di un concittadino di cui Padova deve andare fiera.

Come musico stupì il pubblico sia in Italia sia all’estero, precisamente in Inghilterra. In Italia inaugurò due dei più importanti teatri d’Europa: La Scala di Milano e La Fenice di Venezia; in Inghilterra cantò al Pantheon di Londra in occasione della solenne commemorazione di Handel. Si fece inoltre notare per l’abilità di attore, “dote rara per la maggior parte dei castrati che, Farinelli in testa, erano accusati di stare impalati sul palcoscenico” (p. 35). Famoso il concerto da lui tenuto a Padova l’anno della caduta della Serenissima, per volontà di Napoleone Bonaparte,.

Venne inoltre ricordato per le straordinarie doti di generosità e modestia. Adotto un nipote, al quale diede il cognome (Giuseppe Cecchini Pacchierotti), di cui curò meticolosamente la formazione volendolo far studiare a Londra, e che nominò suo erede universale.

Fu anche un uomo di cultura, che si ritrova accanto ai più noti personaggi, padovani, italiani ed europei, della sua epoca: Girolamo Polcastro (che lo presentò a Napoleone), Simone Stratico (che richiese il seppellimento dell’artista fuori dal cimitero), Stendhal (cui si deve un prezioso e minuzioso resoconto del suo incontro col cantante), Charles Burney (del quale divenne sincero amico durante il periodo londinese). Ed inoltre: Ugo Foscolo, Vittorio Alfieri, Vincenzo Monti, Gaspare Gozzi, Carlo Goldoni, Antonio Canova, Melchiorre Cesarotti, Gioachino Rossini.

La personalità del Pacchierotti non dev’essere quindi oggetto di studio dei soli cultori di storia della musica. Non può passare inosservato, per esempio, agli studiosi della storia e dell’urbanistica padovana. Pacchierotti infatti, con le grandi ricchezze maturate grazie alla sua fama, costruì in questa città la sua abitazione. Si trattò del giardino e del “castello” Pacchierotti, situati ai confini con l’Orto Botanico, distrutti per far posto al Collegio Antonianum. Sopravvive, forse, la fontana di forma circolare, e il “ponticello sul Maglio fatto costruire dal Pacchierotti e ancora oggi visibile” (p. 69): il giardino era infatti solcato da numerosi corsi d’acqua, anch’essi scomparsi o tombinati.

Non è esagerato dire che la memoria di Pacchierotti abbia avuto la stessa sorte delle acque padovane, che egli amava e di cui si era circondato: dimenticati entrambi, quando addirittura non distrutti. E non è forse una coincidenza che Padova riscopra la sua identità d’acqua nello stesso momento in cui riscopre l’identità di Pacchierotti. Cerchiamo quindi di condividere con i fatti l’auspicio di Giovanni Toffano di vedere restaurata la tomba del cantante, sepolto nella cappella della villa che acquistò alla Mandria. Per chi la vuole visitare si trova in Via Chioggia 33, e attualmente è di proprietà dell’Associazione culturale “La Biolca”.

Nell’attesa del restauro cerchiamo almeno di concretizzare l’auspicio di Toffano posto a conclusione del libro, di “una lapide nella villa alla Mandria dove è sepolto o una via che porti il suo nome” (p. 74).