Francesco Vallerani “Acque a Nordest – Da paesaggio moderno ai luoghi del tempo libero”. Verona, Cierre gruppo editoriale, 2004.

(Pubblicata su “I quaderni dell’Alta Padovana”, n. 4)

 

Ci sono almeno tre ottimi motivi che distinguono questo lavoro del geografo Francesco Vallerani dalle moltissime opere a stampa sul tema dei nostri fiumi, che da circa vent’anni troviamo nelle librerie del nostro territorio.

La prima qualità riguarda la struttura del libro, il quale si presenta come un moderno compendio relativo alla storia, recente e meno recente, dei corsi d’acqua del Nordest d’Italia. Si tratta della prima opera di questo tipo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, sessantennio caratterizzato dalla pubblicazione di una miriade di opere monografiche, utili ma di prospettiva limitata. A causa dell’attuale complessità dei nostri territori, soltanto opere di ampio respiro permettono infatti di spiegare singoli fenomeni locali, soprattutto quando si tratta di quelle tematiche idrauliche che, proprio nella nostra regione, sono caratterizzate da una tale complessità da porre tutti i corsi d’acqua in relazione fra loro.

La seconda qualità del libro è di carattere storiografico. Il testo affronta i due secoli meno studiati dagli studiosi: l’Ottocento e il Novecento. Con l’arrivo di Napoleone terminò infatti il lungo periodo di dominazione veneziana caratterizzato dall’incuria pressoché completa del territorio, incuria causata anche dalla mancata considerazione dei contributi che la scienza e un modello amministrativo di tipo moderno avrebbero potuto mettere a disposizione della gestione territoriale. Napoleone, prima di intervenire sulla regolazione dei fiumi, pensa quindi di organizzare e istituire quegli apparati pubblici ai quali assegnare le specifiche competenze di gestione territoriale. È finalmente giunta la fine dei “periti” di settecentesca memoria, praticoni senza alcuna preparazione scientifica che suggerivano rimedi alla bisogna, e che saranno sostituiti dai tecnici formati presso accademie che ebbero nel Corps des Ponts et Chaussées il loro modello.

La terza qualità riguarda la corretta considerazione riservata alla sequenza di personaggi cui siamo ancora debitori degli attuali assetti dei nostri fiumi, a cominciare da Marcantonio Sanfermo per continuare con Pietro Paleocapa, Francesco Turola, Leone Romanin Jacur. Vallerani inquadra i contributi di questi personaggi non nel ristretto àmbito del territorio veneto, ma nel più ampio quadro di operazioni di carattere nazionale ed europeo volte a creare di fatto l’unità d’Italia, e a fare del neonato Paese un interlocutore dello stesso livello degli altri Paesi presenti nel contesto europeo.

A queste qualità va aggiunta la considerazione riservata dal testo ad alcuni corsi d’acqua cosiddetti “minori”, aggettivo che non denota una marginale importanza sul piano idraulico e sul piano storico-geografico. Fra questi corsi d’acqua Vallerani considera il Muson, nel tratto da Camposampiero a Mirano. Lo fa non solo con le parole che Pasquale Coppin riserva a questo fiume nel suo saggio del 1818 dedicato ai canali irrigatori e navigabili, ma anche con una ricerca d’archivio che lo porta a citare una mappa del 1748 con la quale veniva chiesto il permesso di navigazione lungo questo fiume.

L’opera di Vallerani è un’opera in grande scala, e proprio per questo non si sofferma sulle reti idrauliche minori del Nordest. Approfitto quindi per segnalare agli studiosi (e ai loro mecenati) che fra queste reti idrauliche proprio la rete dell’Alta Padovana non mi risulta sia stata finora indagata con profondità e dettaglio. Ma se mi sbaglio mi si corregga immediatamente.

Il Musone Vecchio fa parte della rete idraulica dell’Alta Padovana, e con esso il Muson dei Sassi, il Vandura, il Tergola, il Rosada (che interessa Cittadella). Mi si scusi per le inevitabili omissioni di questi idronimi, ma lo ripeto: si tratta di un aspetto di questo territorio del quale lo studioso non mi risulta disponga quasi di alcun materiale. Non è questa la sede per illustrare l’importanza di tali corsi d’acqua. Mi si conceda soltanto di accennare al Muson dei Sassi: esso segna nientemeno che il cardo massimo del nostro splendido Graticolato romano.