Alessandra Turco, “Frammenti di verità”, Temperatura Edizioni, 2022

Copertina_Alessandra_Turco“Sai, Padova è una città che si sforza di essere un esempio di cose buone, volontariato, cooperative sociali, parrocchie, iniziative ma in realtà è solo una città piena di contraddizioni. È una citta fatta da gente che prega ma i veneti sono bestemmiatori. È una città attiva nel sociale ma è una città che ti lascia da solo.  una città di volontari e di volontariato ma negli ambienti di lavoro non si riesce a fare squadra. Questa è una città che vuole essere aperta ma è terribilmente chiusa e provinciale. Non è una citta generosa, non è una città che ti abbraccia. Arrivi da solo e rimani da solo. Non c’è assolutamente nessuna forma di aggregazione tra le donne. Le colleghe fanno gruppo ma tu che non sei di Padova di quel gruppo non farai mai parte e anche se conoscono la tua solitudine non ti daranno mai una mano. Non ti inseriranno mai nei loro gruppi già organizzati e strutturati. Non c’è posto per nessuno, a parte per chi potrebbe servire alle loro coscienze, quindi casi umani, colleghi stranieri magari con storie tragiche o vittime di qualcosa, ma se sei una persona con una vita normale, un carattere forte, se sei una persona diretta che odia l’ipocrisia in tutte le sue forme allora meriti la solitudine”.

E ancora: “Non ha senso lavorare in un ambiente che dovrebbe essere etico in tutto e per tutto e subire le angherie dei colleghi. Non ha senso pensare al Sud del mondo, se poi non si aiutano le persone che stanno vicino a noi. Troppo facile parlare di Africa, America Latina predicare l’integrazione se poi nello stesso ufficio nascono gruppi nei quali chi arriva da altre Regioni non entrerà mai, non ha senso. Non ha senso occuparsi delle persone e gestire cooperative in tutto il mondo se poi non sai gestire i conflitti all’interno di un gruppo.”

Questo lo spietato ritratto di Padova dipinto da Alessandra Turco, crotonese di nascita ma padovana di residenza (purtroppo non di adozione), nel suo quarto romanzo. Piaccia o non piaccia, se è così che Padova e i padovani vengono visti da chi si stabilisce in questa città, una serena ma altrettanto sincera autocritica diviene necessaria.

Una feroce jaccuse, dunque, peraltro in perfetta sintonia col filo conduttore del romanzo: l’ipocrisia e la menzogna. Banali (ma solo in apparenza) le prime decine delle oltre duecento pagine: la protagonista giunge in città per iniziare un percorso di psicanalisi presso un professionista di cui poi s’innamora, corrisposta.

Ma se ci si lascia conquistare dalla fluidità della narrazione, poco dopo si scopre di essere stato (il lettore) vittima della prima menzogna. Si tratta infatti di un racconto in cui tutti giocano il proprio torbido gioco, fatto di doppi fini e doppie identità che soltanto al termine del romanzo crolleranno grazie al profondo lavoro di introspezione effettuato dalla protagonista prima di tutto su di sé.

Il romanzo si snoderà inoltre fra Padova, Praga, e l’America Latina, di cui l’Autrice offrirà un realistico e pregevole ritratto frutto di un suo recente viaggio effettuato in qualità di giornalista.

Vanno perdonate all’autrice alcune “filippiche” sentimental-perdoniste che inficiano il testo di stonato buonismo, ma che non lo privano della qualità narrativa e della profondità di analisi psicologia.

Pietro Casetta

31 Ottobre 2022