Il tema sollevato dall’avv. Federica Borrelli è incredibile: il pesante rischio penale che corre l’imprenditore se richiede i finanziamenti alle aziende previsti dal recentissimo Decreto liquidità

A cura dell’avv. Federica Borrelli* – Penalista

FINANZIAMENTI GARANTITI DALLO STATO?

DIETRO L’ANGOLO IL RISCHIO DI BANCAROTTA PER L’IMPRENDITORE

Pesante il rischio penale per l’imprenditore generato dal mancato coordinamento della normativa fallimentare con la legislazione emergenziale

 

Si sta registrando in questi giorni un ricorso massiccio ai finanziamenti erogabili dalle banche attraverso il recentissimo “Decreto liquidità”.

A fronte però delle condizioni facilitate dal Decreto rispetto alla normale operatività, la garanzia statale da esso stabilita su questi prestiti pone in capo all’imprenditore un serio rischio sul piano penale; ciò nel caso in cui l’impresa non riesca a fronteggiare la crisi nonostante l’aiuto statale, e quindi fallisca.

Il motivo dell’insorgere di tale rischio dipende dall’inadeguatezza della legislazione emergenziale rispetto alla normativa fallimentare vigente. In altre parole è ancora una volta mancato il coordinamento delle diverse normative di settore, aprendo così degli spiragli ad eventuali fraintendimenti.

Tali eventuali fraintendimenti suggeriscono quindi il ricorso ad una certa prudenza nell’utilizzo indiscriminato degli strumenti previsti dal Decreto, individuando alcune accortezze.

Il meccanismo che genera il rischio

Il meccanismo che genera il rischio penale sta nel trasformare l’istituto bancario, attraverso la garanzia statale, in “creditore privilegiato”, con conseguente diritto ad ottenere il relativo soddisfacimento da parte dell’imprenditore prima di tutti gli altri suoi creditori (detti “chirografari”, ovvero non privilegiati).

Ciò vale anche per i finanziamenti destinati ai piccoli imprenditori, ovvero quelli di importo massimo pari a 25mila euro, che certamente rappresentano l’aiuto statale destinato ad una maggior platea di cittadini.

Qual è il rischio penale? la bancarotta preferenziale

Ora, il lockdown e il suo protrarsi hanno ovviamente elevato la probabilità di dichiarazione di fallimento delle aziende, circostanza che neppure l’iniezione di liquidità prevista dal Decreto potrebbe in alcuni casi evitare. In questa eventualità l’imprenditore si troverebbe non solo con l’azienda fallita, ma anche con un procedimento penale in capo.

In caso di procedura fallimentare, infatti, il Curatore nominato dall’Autorità Giudiziaria fotograferebbe la seguente situazione: l’avvenuto pagamento dei fornitori da parte dell’imprenditore con i soldi erogati dalla banca nei mesi immediatamente antecedenti alla dichiarazione di fallimento; il mancato rientro del debito contratto con la banca, nonostante il diritto di quest’ultima a vedersi ‘preferita’ rispetto all’intera platea degli altri creditori.

Tutto questo integrerebbe un’ipotesi di reato rigidamente sanzionata: la bancarotta preferenziale, così come prevista dall’art. 216, comma 3, L.F.

Preferenziale” in quanto risulterebbero preferiti taluni creditori (in primis, i fornitori) rispetto ad altri (nella specie, la banca che ha erogato il finanziamento).

Il Curatore, in tal caso, altro non potrebbe fare che segnalare l’illecito alla Procura della Repubblica, determinando l’avvio di un procedimento penale nei confronti dell’imprenditore.

Il congelamento delle istanze di fallimento aiuta?

Servirebbe a poco appellarsi all’attuale congelamento delle istanze di fallimento (previsto sino al 30 giugno secondo il Decreto legge n. 23/2020). Si tratta, infatti, di un mero rinvio procedimentale che sposta in avanti la possibile declaratoria di fallimento ma che non incide sulla natura e sulla sostanza del reato;Peraltro, questo termine appare troppo ravvicinato per consentire un’effettiva ripresa dell’attività.

Le precauzioni da adottare

Stando così le cose due sono i suggerimenti da rivolgere agli imprenditori, quantomeno per attenuare l’elemento soggettivo del reato.

  • Richiedere il finanziamento solo quando vi siano concrete possibilità di recupero dell’azienda, e non invece per tamponare qualche debito accumulato durante il lockdown.
  • Precostituire la prova documentale della fattibilità del piano di recupero aziendale, avvalendosi ad esempio di professionisti qualificati (quali commercialisti e avvocati).

Quest’ultimo accorgimento, in particolare, consentirebbe di dimostrare l’assoluta buona fede dell’imprenditore nel soddisfare le richieste economiche dei fornitori, e precisamente: l’esclusivo intento di salvaguardare la propria azienda, mantenendo inalterati i livelli occupazionali; l’assenza di una specifica volontà di danneggiare l’istituto di credito.

Avv. Federica Borrelli

https://youtu.be/TsOweMNh1mA?t=1559

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*Federica Borrelli, avvocato, specializzata in materia penale. Ha maturato le proprie competenze nel settore del diritto penale dell’impresa e del diritto penale tributario seguendo numerosi processi legati a queste tematiche. È relatrice a convegni di approfondimento relativi al rischio penale negli ambienti di lavoro.