Barbara Sirotti, attrice gentile

La gentilezza è il suo motto, la voce la sua forza, il corpo il suo strumento

 

Barbara Sirotti - TeatroAttrice, ma con alle spalle la Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”. Conduttrice televisiva, ma solo dopo essere stata selezionata in un concorso di scala nazionale per RaiLab, il laboratorio delle risorse artistiche della Rai. Inglese ottimo, grazie ai soggiorni formativi ad Hollywood, New York, Londra. La gentilezza è il suo motto. Parlandole, pare di averla sempre conosciuta e la si vorrebbe come amica.

Dunque, una carriera fondata sulla professionalità. Il tuo è più il “mestiere dell’attrice” o la “professione dell’attrice”?
Direi più il mestiere, perché “professione”, sebbene quella dell’attore lo sia, mi dà più l’idea di qualcosa da imparare, di accademico, mentre il mestiere dell’attore è qualcosa di estremamente pratico, che addirittura “si ruba” sia dai propri maestri o compagni ma soprattutto dalla vita. Direi quindi il mestiere, l’”andare a bottega”.

Barbara Sirotti - Set di "Aria"Parliamo del tuo recentissimo corto “Aria”, che parla della violenza sulle donne. L’idea di girarlo si deve ad una tua esperienza personale o alla tua sensibilità?
Ad entrambe. Anche ad un’esperienza dolorosa, personale, che mi ha portato a voler esorcizzare quell’esperienza e a portarmi ad una via d’uscita: rappresentare e rappresentarsi.
Federico Fellini diceva “Io sono autobiografico anche quando parlo di una sogliola”. E Monica Vitti, che ritengo la più grande attrice italiana, diceva che nel nostro mestiere è tutto mescolato, realtà e finzione: non si capisce bene quale sia il confine tra un’ispirazione presa dalla vita reale e la realtà, quanto una cosa ti appartenga e quanto sia parte di un copione. A volte capita di interpretare dei personaggi che ti rimangono addosso sebbene tu sappia che non sono tu!

Barbara Sirotti - Primo piano - "Aria"“Aria” sta registrando un successo di critica impressionante, avendo ricevuto sinora ben 44 premi. Il pubblico, invece, come sta reagendo?
Devo dire che il corto non vuole tanto denunciare, quanto indurre a rifiutare il ruolo di vittima perché questo ruolo è una forma di accettazione dell’abuso. Il corto inoltre è anche il frutto di un lunghissimo e difficilissimo percorso personale.
Il pubblico sta reagendo molto bene. Non mi aspettavo un riscontro di questo tipo specie se penso che la distribuzione deve ancora iniziare. In anteprima, per esempio, è stato mostrato, e apprezzato, alle socie di Fidapa (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari), associazione in aiuto e difesa delle donne presente in tutta Italia e all’estero. Devo dire che in sala non sono mancati i momenti di emozione, anche da parte mia. Ricorderò per sempre ciò che mi ha detto una donna: “Grazie per aver dato voce a chi non ce la fa.”
Devo ringraziare il regista Brace Beltempo, e poi Enrico Merlin per le musiche, Giuseppe Catalano per il sound editing, Roberto Barabaschi per la consulenza musicale. In “Aria” viene data molta importanza alla musica, che riveste a tutti gli effetti il ruolo di personaggio, nello specifico il personaggio maschile, disturbante e che crea un’ulteriore tensione.

Barbara Sirotti e la sensualitàTu sei una persona dotata di una forte carica empatica, che certamente condiziona positivamente il tuo rapporto col pubblico. Senti che ciò comporti anche una sorta di responsabilità sociale potendo veicolare, come attrice, messaggi di un certo tipo?
Credo di sì, dovrebbe essere così. Credo che una certa responsabilità noi attori e artisti l’abbiamo e sia quella di sollevare domande, altrimenti il nostro diventa soltanto un esercizio narcisistico e questo a me non interessa. Sarà il pubblico a cercare le risposte, le proprie risposte. Mi interessa molto mettermi al servizio della collettività, questo sì, e credo sia il massimo.

Barbara Sirotti sul setTu hai recitato la commedia “Il prigioniero della Seconda Strada” di Neil Simon. Lui fa il casalingo, lei lavora. Ma vuol essere sempre a casa in tempo per cucinargli il pranzo. Non sembra un bell’esempio di emancipazione femminile! (O sì?)
L’emancipazione è una conquista (o almeno speriamo) ma ciò non significa non amarsi. Lei lo fa perché lo ama, e perché cerca di ritornare alle abitudini della coppia cercando di andare avanti lo stesso. L’importante è dialogare, comprendersi, restare assieme durante le difficoltà. L’emancipazione non è rinnegare la propria femminilità. E poi la commedia è del 1971, e se gli artisti mettono in scena delle domande, “Il prigioniero” è una provocazione proprio perché propone un’inversione di ruoli.

Oltre che brava sei molto bella. Quanto tempo dedichi alla cura del tuo aspetto fisico? E quanto è importante per il tuo lavoro?
Gli attori non possono prescindere dal proprio fisico, perché siBarbara Sirotti - Tango recita con tutto il corpo e il proprio essere. Ecco perché non comprendo il teatro di parola, perché anche la voce è corpo e lo sono le corde vocali. D’altra parte anche i registi mi dicono che io sia molto fisica.
Al mio aspetto, cioè all’ “imbellettamento” dedico lo stretto necessario. Ciò che mi interessa, piuttosto, è la prestanza del mio fisico. Per esempio ballo molto: mi piace tantissimo il tango argentino, che non è solo un ballo ma un mondo; poi canto, per il fiato; ho anche il brevetto di immersione subacquea. E amo la bici nonostante io viva a Milano.
Vorrei chiudere con una riflessione. Tu hai parlato di gentilezza, e vorrei citarti Jean Genet: “Il talento sta tutto nella gentilezza verso le cose, consiste nel dare un canto a ciò che era muto”.
Questo è il mio motto.

Intervista a cura di Pietro Casetta

 

Qui l’intervista integrale: