Intervista a Stefania Pinsone

Psiche, simboli, tecnologia nelle opere di Stefania Pinsone

 

L’artista sarà in mostra, a cura di Roberto Papini,

alla Art Gallery “Arting 159” a Milano,

Via Marsala 1, 1 – 14 ottobre 2021

 

È difficile parlare delle opere di Stefania Pinsone senza osservarle dal vivo. La quantità e la qualità di dettagli, segni, simboli sono tali che una foto può riprodurli soltanto in parte. Anche perché osservare un‘opera di questa artista significa concedersi un viaggio all’interno della propria psiche e all’interno della psiche di Stefania Pinsone.

Nelle Sue opere sono presenti labirinti, corridoi, intrecci… Si tratta di immagini più inquietanti o più liberatorie?

Inquietanti e liberatorie. Uso infatti molti contrasti, anche grazie alla mia doppia formazione: la laurea in Storia dell’Arte e il diploma all’Accademia. Questo non è comune e mi permette quindi di considerare entrambi gli aspetti dell’arte, ovvero quelli teorici e quelli pratici. Inoltre io noto che le grandi opere d’arte, di tutte le arti, hanno molti contrasti, in sintonia con la complessità della nostra realtà.

I Suoi quadri sono densi di simboli.

Uso tanti simboli perché racchiudono grandi significati in pochi segni. Ripetuti, creano però la necessità di una visione dal vivo che nelle foto è difficile afferrare. Ho proprio notato lo stupore dei visitatori nel vedere le mie opere così come sono realmente. Diciamo che mi sono… sforzata di imparare da grandi artisti quali Gerhard Richter, che stimo il più grande pittore vivente e le cui opere si possono penetrare soltanto dal vivo.

Parlando degli aspetti formali delle Sue opere, possiamo definire “pittura” il Suo genere artistico?

Sì, i miei quadri sono dei dipinti. L’unica caratteristica che li differenzia è il processo artistico. Inizio sempre con il disegno dell’opera, che eseguo in piccolo (quindi in maniera classica) e in chiaroscuro. E in chiaroscuro lo “vedo” tridimensionale come se fosse un rendering. Poi faccio ingrandire il disegno e stampare su metallo. Beninteso che nel disegno non devono esserci errori e la precisione dev’essere più che millimetrica.

Nelle Sue opere non vi è presenza umana. Perché?

Perché sono raffigurazioni dell’interno della nostra mente, della quale do una visione meccanica. Soffro della paura dichiarata da Yuval Noah Harari nel suo Homo deus. Da una parte mi affascina la tecnologia, e la uso, ma dall’altra mi spaventa la visione tecnocratica del futuro che dà questo autore. Ne abbiamo avuto la percezione in questi due anni di Covid, in cui l’interesse per l’“analogico”, cioè per il dubbio, la cultura, le visioni sociali, è calato a favore dell’interesse per il “digitale” cioè per risposte binarie, facili e rapide.

Lei impiega materiali non proprio consueti, fra cui oro, argento, bronzo, alluminio, pigmenti fosforescenti, oltre agli acrilici. Come mai questa scelta?

Se usassi materiali consueti sarebbe per me difficile dare messaggi non consueti, in quanto il materiale condiziona il messaggio. I colori ad olio li ritengo quindi molto limitanti per rappresentare ciò che voglio creare e che raffiguro per esempio con circuiti. Perciò, invece delle tele uso lastre di alluminio che molte volte sono dorate o argentate, e che poi dipingo impiegando pigmenti metallici. Questo mi aiuta anche a giocare con la terza dimensione, che quindi non è neutra come la tela ma specchiante.

Alla Sua mostra Lei presenterà esclusivamente sette opere, fra cui “The calling” (“La chiamata”), “Golden isolationism” (“Isolazionismo d’oro”), “Dream machine” (“Macchina dei sogni”), e “Death of myth” (“Morte del mito”). Con quale criterio le ha scelte?

La scelta delle opere da esporre è il frutto di un intenso dialogo col curatore della mostra, il gallerista Roberto Papini, molto presente anche nello sviluppo del catalogo dimostrandosi un vero e proprio art director! Abbiamo dato la priorità all’omogeneità delle opere e all’attuale sviluppo del mercato dell’arte, rivolgendoci quindi ad un target alto attraverso materiali, complessità, preziosità, ambiguità nell’essere opere sia astratte che figurative. Si tratta comunque delle migliori e delle più avveniristiche.

Stefania Pinsone: The calling

Stefania Pinsone: The calling

“The calling”: un complesso gioco soprattutto di scale e prospettive. È sbagliato vedervi anche dei richiami alle opere di Maurits Cornelis Escher?

Escher non lo conosce quasi più nessuno! Posso dire di essere cresciuta con le sue opere e le trovo straordinarie, perché distrugge tutte le certezze realistiche introdotte dalla prospettiva, dimostrando l’illusorietà delle rappresentazioni prospettiche. Inoltre si tratta di un artista “esatto” per l’epoca, quella di Einstein e della “relatività”.

Stefania Pinsone: Dream machine

Stefania Pinsone: Dream machine

“Dream machine”: la complessità di un labirinto sulla perfezione di una sfera. Un contrasto o un conflitto?

Dream machine è un’opera con richiami filosofici quali il contrasto di un super ego costretto negli schemi sociali. Inoltre è uno dei miei quadri nei quali ho sperimentato di più, per esempio con l’impiego di pigmenti fosforescenti: il dipinto va quindi visto sia con la luce sia al buio.

Stefania Pinsone: Golden isolationism

Stefania Pinsone: Golden isolationism

“Golden isolationism”: primo premio EWAL Premier Art Award (London 2019), se non sbaglio.

Confesso di essere particolarmente orgogliosa di questo premio, in particolare perché gli ha dato molto lustro, grazie alla sua autorevolezza, il presidente della giuria, Dan Fern, professore emerito del Royal College of Art. Inoltre, nonostante un mondo sempre più on-line le opere sono state esaminate dal vivo.

Stefania Pinsone: Death of Myth

Stefania Pinsone: Death of Myth

“Death of myth”: qual è il mito che muore nella nostra società?

Catwoman

Catwoman

Death of myth è forse la mia opera più avveniristica. Si tratta di una scultura, realizzata con la tecnica della stampa tridimensionale da una compagnia cinese in Shenzhen e con l’aiuto di un ingegnere che ha trasformato il mio soggetto in file 3D. Dopo la stampa ho dipinto la scultura con la foglia d’oro e d’argento e con pigmenti metallici anticanti.

In essa lo scudo è persiano, quindi orientale, mentre Medusa, che uccide con lo sguardo, è occidentale. Ma lo si osservi meglio e vi si vedrà Catwoman, ovvero la mitologia di Hollywood che sostituisce quella classica. Anche i miti hollywoodiani stanno però decadendo. Neanche il supereroe rappresenta più la nostra società.

Pietro Casetta

Stefania Pinsone: Death of Myth (in lavorazione)

Stefania Pinsone: Death of Myth (in lavorazione)

Stefania Pinsone 2021 – Catalogo Mostra Arting159 – Compressed

Immagini – Stefania Pinsone