La “Vergine dei veleni” rappresentata in questa foto
di Alessandra Toninello con la modella Lisa Pietrobon

Per quanto ci si possa sorprendere leggendo il suo Rappaccini’s daughter (tradotto in italiano come La vergine dei veleni o La figlia di Rappaccini[1]), Nathaniel Hawthorne non è mai stato nella città, Padova, in cui il romanzo è dichiaratamente ambientato[2]. Pur essendosi egli recato in Italia, precisamente a Roma e Firenze, ciò avvenne fra il 1857 e il 1858, ben più tardi rispetto all’anno di pubblicazione del romanzo risalente al 1844[3].

Non è invece apertamente dichiarato nel romanzo il luogo preciso in cui esso è ambientato, sebbene il contesto e una precisa espressione rimandino all’Orto Botanico di Padova[4]: “… uno di quegli orti botanici sorti a Padova prima che in ogni altra parte d’Italia o del mondo”[5].

La trama

Giunto a Padova per proseguire gli studi universitari, Giovanni Guasconti trova alloggio in un antico palazzo che si affaccia su di uno splendido giardino. Nel giardino un medico, il dottor Giacomo Rappaccini, coltiva le proprie piante a scopo di ricerca scientifica, ricavandone veleni per uso farmaceutico.

Oltre che dal dottore, il giovane si accorge che il giardino è frequentato dalla figlia di costui, Beatrice, di cui si innamora, ricambiato. Ma il dottor Pietro Baglioni, amico del padre del giovane, lo avverte del pericolo di cadere vittima degli stessi esperimenti che il collega conduce sulla figlia proprio attraverso i veleni prodotti nel giardino. Giovanni ignora il consiglio di Baglioni e Beatrice, colma di tali veleni che il padre le ha nel tempo somministrato, avvelena sempre più e col suo solo respiro il giovane, fino a che egli subisce il medesimo destino della compagna, costringendosi ad isolarsi per non trasmettere il contagio.

Sperando nell’antidoto consegnatogli dal dottor Baglioni, Giovanni lo somministra a Beatrice, ma l’antidoto si dimostra peggiore del veleno e la porta alla morte. È in questo modo che Baglioni ottiene la propria rivalsa sul più celebre collega: rovinando il suo esperimento e uccidendone la figlia.

I luoghi

Il romanzo riporta una scenografia ripresa molto probabilmente da descrizioni di accademici statunitensi con i quali Hawthorne era indirettamente in contatto[6], la quale lascia intravedere richiami all’Orto patavino in gran parte distinguibili.

Si tratta per esempio del “rudere di una fontana di marmo scolpita con rara arte, ma in sì deplorevole rovina, che era impossibile ricostruire il disegno originario dal caos dei frammenti rimasti”[7]. Tralasciando la descrizione rovinista assimilabile allo stile gotico del romanzo (o all’impossibilità di meglio descrivere l’oggetto non avendolo potuto osservare), va notato che, nell’epoca in cui questa frase fu scritta, presso l’Orto Botanico vi erano ben diciassette fontane[8]. Alcune di esse erano effettivamente “scolpite con rara arte”, se non altro nelle parti in cui tuttora raffigurano alcuni eleganti musi di leoni.

“Tutt’intorno allo stagno in cui l’acqua ricadeva”, continua il romanzo, “crescevano varietà di piante che sembravano richiedere molta umidità per nutrire foglie gigantesche e, in alcuni casi, fiori di vistosa magnificenza”[9]. Si possono osservare presso l’Orto patavino le grandi foglie della Colocasia esculenta Schott, pianta “quasi acquatica [circostanza che ben si sposa con la ‘molta umidità’ che ‘sembravano richiedere’], originaria dell’India e della Malesia, coltivata nelle regioni tropicali e subtropicali”[10] e di cui si ha notizia in Italia quantomeno dal XVI secolo[11].

Importante il riferimento alle sculture che adornano l’Orto: “Una pianta si era attorcigliata ad una statua di Vertumno, che ne rimaneva interamente velata e avvolta in un drappeggio di foglie, disposte in così felice maniera che uno scultore avrebbe potuto servirsene per uno studio”[12]: Vertumno come metafora della statua di Re Salomone, opera di Antonio Bonazza, ben collocata nell’Orto. Ci è noto infatti che il culto di Vertumno veniva espresso dai piccoli bottegai romani incoronandone la scultura presente nel Vico Tusco con i fiori della stagione[13], e ci è noto dal Cantico dei Cantici che re Salomone fu cinto dalla madre con una corona nel giorno delle nozze[14], corona che, specialmente nell’antichità, si intendeva composta di fiori e fronde (lauro, quercia, olivo)[15].

Significativo, infine, il riferimento ad una particolare pianta velenosa: “un arbusto … carico di fiori rossi che avevano ognuno il colore luminoso e profondo di una gemma”[16]. Questa descrizione corrisponde a quella della Solanum dulcamara, coltivata dal suocero di Hawthorne nel proprio giardino per usarla come lenitivo per il mal di denti nel corso della sua professione di dentista[17] e presente nell’Orto patavino nella raccolta di piante velenose.

La città

Pur se ambientato pressoché interamente all’Orto Botanico, il romanzo contiene anche un altro interessante riferimento a Padova.

Il protagonista giunge infatti “dalla più meridionale regione d’Italia per continuare i suoi studi all’Università di Padova”, prendendo alloggio “in una tetra stanzetta all’ultimo piano di un vecchio edificio che sembrava non indegno di essere stato il palazzo di un nobile padovano e sul cui ingresso, infatti, faceva mostra di sé lo stemma di una famiglia da lungo tempo estinta. Il giovane, che non mancava di conoscere il grande poema del suo paese, ricordò che uno degli antenati di quella famiglia, e forse uno che aveva abitato in quella stessa dimora, era stato descritto da Dante come partecipe degli eterni tormenti del suo Inferno.”[18]

Ora, restringendo la ricerca alle sole famiglie padovane di città presenti nell’Inferno, si giunge agli Scrovegni e ai del Dente. Dal momento che sui del Dente non esiste accordo neppure sul cognome[19], può trattarsi di un riferimento proprio al Palazzo degli Scrovegni, adiacente all’omonima cappella affrescata da Giotto, il quale venne demolito dai proprietari Gradenigo nel 1827 dopo anni di incuria ed abbandono;[20] circostanza, l’incuria, che ben si sposa con l’espressione presente nel romanzo “Trovate triste questa vecchia casa?”[21] e col contesto che si desume dalla lunga citazione sopra riportata.

Il periodo

Impossibile determinare il periodo in cui il romanzo si svolge servendosi dei soli elementi narrativi.[22] I ducati d’oro che il protagonista detiene[23] possono rimandare tanto alla Venezia del Cinquecento quanto al Regno delle Due Sicilie dal XV al XIX secolo[24]. Ciò si può assumere considerando, peraltro, la provenienza meridionale del personaggio.

Tuttavia, come vedremo, lo scioglimento di una delle infinite metafore che il romanzo contiene depone per l’ambientazione cinquecentesca.

I fatti ispiratori del romanzo

È da rivedere, almeno per quanto riguarda questo romanzo, l’attribuzione al senso di colpa come motore dell’ispirazione di Hawthorne[25] o alla volontà di una denuncia morale[26] in linea con la critica letteraria hawthorniana tradizionale. Studi recenti riportano infatti l’ispirazione del romanzo a tutt’altre situazioni.

La prima di esse riguarda gli esperimenti condotti dal suocero di Hawthorne sulla propria figlia, che risultano del tutto simili a quelli condotti nel romanzo dal Rappaccini sulla figlia Beatrice. Il dottor Nathaniel Peabody giunse a somministrare alla figlia Sophia laudano, mercurio, arsenico, giusquiamo, tanto che Hawthorne dovette curarla.

La seconda situazione riguarda l’aspra rivalità fra due medici contemporanei ad Hawthorne, Oliver Wendell Holmes e Robert Wesselhoeft, il primo dei quali accusò l’altro di cialtroneria in quanto omeopata. Anche in questo caso ci si innesta in una vicenda personale vissuta dall’autore, in quanto fu il fratello di Wesselhoeft, William, a curare Sophia, ma lo fece tramite esperimenti di ipnosi che Hawthorne non condivise e di cui non fu avvisato. Hawthorne riportò nel romanzo tale rivalità fra i due medici, raffigurandola nel rapporto fra Rappaccini e Baglioni.[27]

Una terza interpretazione si rivela tanto attuale quanto straordinariamente in linea con la critica letteraria tradizionale, focalizzata sui soli intenti moralistici della produzione hawthorniana. Questa interpretazione vede nella triste evoluzione del rapporto fra il giovane studente e la figlia del Rappaccini la metafora del contagio da sifilide.[28] L’alito pregno di veleni di Beatrice diverrebbe quindi la rappresentazione di un bacio, a sua volta rappresentazione di un rapporto sessuale illecito, quindi moralmente riprovevole, avvenuto fra i due giovani.

Infine, il romanzo risulta solo all’apparenza ambientato a Padova, perché “occorreva al narratore distanziare una storia dai risvolti fiabeschi in un passato che la rendesse insieme più accettabile e più suggestiva.”[29] L’ambientazione padovana sarebbe stata scelta in quanto la città fu sede, nel Cinquecento, di un aspro dibattito medico fra galenisti e paracelsisti. I primi erano legati alle opere degli antichi quali Galeno, Celso, Avicenna, Dioscoride, Aristotele; i secondi si dedicavano invece a Paracelso, Vesalio, Montano, Falloppio, Acquapendente, di cui si pubblicarono nel corso dei secoli XVI e XVII opere particolarmente innovative che portarono proprio alla creazione dell’Orto Botanico.[30]

Il romanzo contiene dunque una vera e propria ridda di riferimenti, rimandi, metafore. Tutte, per altro, fra loro strettamente intrecciate e impossibili da cogliere se considerate singolarmente.[31] Proprio questa pluralità semantica di un’unica trama significante fa sembrare molto limitativo l’appellativo di “racconto” in relazione ad un’opera che ha tutta la struttura del romanzo.

Un’amara interpretazione attuale

Lo scontro fra i due medici Baglioni e Rappaccini, attorno al quale il romanzo ruota, rappresenterebbe dunque almeno tre situazioni: il conflitto psicologico dell’autore nei confronti del proprio suocero relativo alle modalità professionali con cui costui curò la figlia; la rivalità fra i due medici Wesselhoeft e Holmes contemporanei ad Hawthorne; la rivalità fra galenisti e paracelsisti, ovvero fra il tradizionale approccio olistico e il moderno approccio farmacologico di derivazione botanica[32].

Secondo quest’ultima lettura prenderebbe inoltre corpo l’ipotesi di ambientazione cinquecentesca del romanzo.

Sempre secondo queste interpretazioni, le caratteristiche stilistico-letterarie de La figlia di Rappaccini, costituite da una storia d’amore all’interno di un romanzo gotico, rappresenterebbero niente di più di un velo mimetico steso sopra il racconto per niente edificante di una serie di conflitti accademici tristemente risolti sul piano personale invece che sul piano scientifico. Anche di questo, dunque, e non solo di un puro esercizio estetico-letterario di stile gotico divenne teatro l’Orto Botanico di Padova in questo romanzo.[33]

La “Vergine dei veleni” rappresentata in questa altra foto
di Alessandra Toninello con la modella Lisa Pietrobon

Dato in Padova, mercoledì 17 dicembre 2014


[1] Nathaniel Hawthorne, La figlia di Rappaccini, in “La figlia di Rappaccini e altri racconti”, traduzione di Renata Barocas, Passigli editori, 1991; questa la traduzione che qui è stata adottata come riferimento.

Nathaniel Hawthorne, La figlia di Rappaccini, traduzione di Luciana Sacchetti, Il cavaliere azzurro, 1986: traduzione elegantissima quanto incompleta perché priva dell’importantissima introduzione scritta dall’autore.

Nathaniel Hawthorne, La vergine dei veleni, in “La vergine dei veleni e altri racconti”, traduzione di Maria Pia Colasanti, Lucarini, 1987.

Nathaniel Hawthorne, La vergine dei veleni, traduzione di Caterina Gullì, Lucarini, 1987.

Nathaniel Hawthorne, La figlia di Rappaccini, traduzione di Igina Tattoni, Feltrinelli e-book, 2014.

[2] Cfr.: Kenneth McKenzie, Enciclopedia Italiana, Treccani, 1933, ad vocem; Treccani.it, ad vocem; Milton Meltzer, Nathaniel Hawthorne: a biography, 2006, Minnesota, Twenty-First Century Books – Lerner Publishing Book; Arlin Turner, Nathaniel Hawthorne, a biography, Oxford University Press, 1980; Randall StewartNathaniel Hawthorne, a biography, Yale University Press, 1948; Ronald A Bosco, Jillmarie Murphy, Hawthorne in His Own Time – A Biographical Chronicle of His LifeDrawn from Recollections, Interviews, and Memoirs by Family, Friends and associates, University of Iowa Press, 2007; Harold Bloom (a cura di), Nathaniel Hawthorne, Infobase Publishing,2009; Brenda Wineapple, Hawthorne: A Life, Random House Publishing Group, 2012.

[3] A. Mariani, Dizionario Oxford della letteratura americana, Gremese Editore, 1999, voce “Rappaccini’s Daughter”.

[4] Di questo parere anche Marilla Battilana ne Il fantastico ‘Orto’ padovano di Hawthorne, in “Padova e il suo territorio”, anno VIII, numero 45, ottobre 1993, pp. 8-11.

[5] Traduzione Barocas, cit., p. 8.

[6] Questa ipotesi è ricavata dalla lettura di Thomas St. John, Nathaniel Hawthorne: Studies in The House of the Seven Gables, capitolo “Dr. Robert Wesselhoeft in ‘Rappaccini’s Daughter’”: “The University of Padua stands in for Harvard University, where both Holmes and Wesselhoeft [che come vedremo Hawthorne conosceva] had friends and associates.”. Su Thomas St. John e la sua saggistica si veda oltre.

[7] Traduzione Barocas, cit., p. 8.

[8] Cfr. Roberto De Visiani, L’Orto Botanico di Padova nell’anno MDCCCXLII, Angelo Sicca, Padova, 1842, p. 35.

[9] Traduzione Barocas, cit., p. 8.

[10] Enciclopedia Italiana, Treccani ed., 1931, voce “Colocasia”.

[11] Cfr.: Sara Ferri Pietro Andrea Mattioli – Siena, 1501-Trento, 1578. La vita, le opere, con l’identificazione delle piante, Quattroemme, 1997, p. 219.

[12] Traduzione Barocas, cit., p.9.

[13] Enciclopedia Italiana, Treccani ed., 1937, voce “Vertumno”.

[14] Cantico dei Cantici, 3, 11.

[15] Vocabolario Treccani on line, voce “corona”, 1.

[16] Traduzione Barocas, cit., p. 8.

[17] Questa notizia è riferita da: Mahala Yates Stripling, cit., p. 32. A sua volta questa studiosa la riprende da: St. John, cit., capitolo “Dr. Robert Wesselhoeft in ‘Rappaccini’s Daughter’”.

[18] Traduzione Barocas, cit., p. 7.

[19] Cfr., p. es.: “Enciclopedia dantesca”, Treccani, 1970, voce “Vitaliani, Vitaliano”.

[20] Cfr.: Giuliano Pisani I volti segreti di Giotto – Le rivelazioni della Cappella degli Scrovegni, Milano, Rizzoli, 2008.

[21] Traduzione Barocas, cit., p. 7.

[22] Battilana parla di “tardo Cinquecento o Seicento”. Poi, alcune righe dopo, di “un’epoca situabile tra la fine del Cinquecento e il Settecento” (cit., p. 8a e 9b).

[23] Traduzione Barocas, cit., p. 7.

[24] “A Napoli il ducato d’oro circolava fin dal 1465 e quello d’argento dal 1551. Il ducato del Regno delle Due Sicilie era stato emesso nel 1818 con il riordino dei sistemi monetari di Napoli e della Sicilia.” Angiolo Veniero Forzoni, “Ducato delle Due Sicilie”, voce del Dizionario di Banca, Borsa e Finanza nella versione online a cura di Assonebb – Associazione nazionale Enciclopedia della Banca e della Borsa (www.bankpedia.org)

[25] Per il presunto senso di colpa hawthorniano si rimanda per es. a: Battilana, cit., p. 9c e nota 11.

[26] Cfr., p. es.: Caterina Gullì, prefazione a Nathaniel Hawthorne, La vergine dei veleni e altri racconti, Lucarini, Roma, 1987, p. 9.

[27] Queste notizie sono riferite da: Mahala Yates Stripling, cit., p. 32. L’Autrice le riprende da: St. John, cit., capitolo “Dr. Robert Wesselhoeft in ‘Rappaccini’s Daughter’”, pubblicato a questo link:http://hawthornessevengables.com/chapters/dr-wesselhoeft-in-rappaccinis-daughter.html. Trattandosi di un sito non istituzionale e di un contributo non recante indicazioni bibliografiche, si è proceduto ad un’attenta analisi dei contenuti effettuata grazie alla preziosa collaborazione dell’Autore. La bibliografia si trova in una precedente edizione del contributo al link http://www.geocities.ws/seekingthephoenix/h/hawthorne1.htm. A margine spiace osservare che un contributo presente soltanto nella rete, per quanto autorevole, diviene effimero se non viene stampato e depositato presso le biblioteche. Questo perché la sua vita resta legata alla sola vita del sito che lo ospita.

[28] Numerosissime le circostanze che portano a questa lettura. Cfr.: Mahala Yates Stripling, cit., p. 34. Per l’approfondimento: Carol Marie Bensick, La nouvelle Beatrice: Renaissance and romance in “Rappaccini’s daughter”,Rutgers University Press, 1985.

[29] Battilana, cit., p. 9b.

[30] Cfr.: Federica Dallasta, Eredità di carta – Biblioteche private e circolazione libraria nella Parma farnesiana (1545-1731), Franco Angeli, 2010, p. 247. Molto più esplicita Mahala Yates Stripling, cit., p. 33.

[31] Un esaustivo lavoro di palesamento delle metafore è stato svolto da: St. John, cit.; Mahala Yates Stripling, cit., particolarmente a p. 34.

[32] Il conflitto galenisti/paracelsisti all’interno del romanzo è un’ipotesi espressa da: Mahala Yates Stripling, cit., p. 32.

[33] Ringrazio il prof. Giuseppe Longo per avermi fatto conoscere La figlia di Rappaccini, e per avere inconsapevolmente confortato questa mia lettura in chiave plurimetaforica del romanzo attraverso il suoCognizione ed emozione – Processi di interpretazione del testo letterario dalle neuroscienze cognitive all’educazione emotiva (Pensa Multimedia, Lecce-Brescia, 2011). La responsabilità di quanto espresso in questo mio contributo resta comunque interamente del sottoscritto.